Amo la Turchia. Consapevolmente e volontariamente il verbo è all’indicativo presente. Questo è un paese in una fase di grandi cambiamenti e, ovviamente, non è più quello che ebbi modo di conoscere quando fui nominato Ambasciatore d’Italia nel lontano 1995. Il paese che conobbi presentava innumerevoli contraddizioni, da un lato, valga come esempio, il considerevole ruolo della donna, all’epoca era Primo Ministro l’accademica Tansu Çiller e dall’altro divisioni economiche, culturali e sociali. La grande modernizzazione voluta da Ataturk, che non aveva esitato finanche a introdurre l’alfabeto latino pur dovendolo egli stesso imparare, aveva affidato la tutela dello Stato, compatto e laico, alle Forze Armate che sovente esercitavano il loro potere in maniera non convenzionale. Nonostante queste crepe le democrazie occidentali riconoscevano alla Turchia le difficoltà avute per contenere le destabilizzazioni originate dal confine con l’Unione Sovietica. Al mio arrivo era appena entrato in vigore l’Accordo Doganale con l’Unione Europea che, secondo Ankara, pesava come un ulteriore pedaggio in quel cammino, iniziato da Targut Ozal, di liberalizzazione del mercato. Il Trattato - si riconosceva - non era sufficiente a garantire l’ingresso in Europa, ma avrebbe potuto assicurare un negoziato in condizione di parità, che però non avvenne, con quello in corso con i Paesi dell’Europa dell’Est.
La forte divisione del Paese la percepivo in maniera talmente evidente che quando passavo, nello stesso giorno, da una riunione all’altra, mi capitava talvolta la sensazione di un percorso enorme, non nello spazio ma nel tempo, tanto erano diversi i discorsi, le usanze, gli abiti, persino i cibi che venivano offerti. Erdogan, a quel tempo era sindaco di Istanbul e in tale veste lo conobbi e lo frequentai. Egli mi disse (volle che lo comunicassi a Prodi quando egli fece visita in Turchia come Primo Ministro) che la DC poteva essere un esempio da imitare in Turchia ovvero un partito con radici religiose ma scrupolosamente laico. In tutte queste sfaccettature si scorgeva un comune denominatore: la fierezza. L’ambiente cólto ricordava i fasti di un Impero vittorioso e ripeteva che Istanbul non avrebbe potuto essere quello che era se non ci fosse stata Venezia e che lo stesso valeva per Venezia. La stessa fierezza la riscontravo nelle parte più derelitta della popolazione, a Istanbul i mendicanti spesso avevano una bilancia perché i passanti si pesassero e lasciassero una moneta, in breve per conservare la dignità offrivano qualcosa in cambio dell’obolo.
La Turchia è stata la mia ultima sede. Ho amato tutte le mie destinazioni. Ma l’amore per la Turchia è stato diverso. Sapevo che non ne sarebbe seguito un altro. In questa consapevolezza l’ultimo amore è più importante del primo. Si sa che deve confortarci, sorreggerci, sorriderci fino alla fine. Ma prima arriva il rimpatrio, la pensione, la nostalgia. Ho accolto con gioia l’invito rivoltomi da Generoso di Meo di scrivere le impressioni, come Ambasciatore e come napoletano, che ebbi quando arrivai in quel meraviglioso paese. Credo che fu irrilevante la funzione che avrei esercitato ed anche il mio essere napoletano, nonostante avessi sempre riconosciuto che tutto quello che avevo appreso, quello che avevo percepito nella carriera, lo avessi ottenuto da una visione e da una cultura napoletana.
Ad Istanbul, l’antica ed eterna Costantinopoli, la Storia, l’Arte, la bellezza e la miseria costituiscono un fiume in piena che ti travolge e ti conduce. I Curdi, gli Armeni, i Greci si mescolano agli Ebrei che cacciati da Ferdinando il Cattolico furano accolti in Turchia e il Sultano ebbe a commentare: ” Non capisco come si faccia a privarsi di gente di tale talento”. Nel Bazar la folla non ti permette di scegliere il cammino, di selezionare gli acquisti. L’individualità è annientata dal troppo che circonda. Una simile sensazione la avevo già percepita a Gerusalemme dove però era l’alito divino a prevalere mentre ad Istanbul era la volontà di un popolo a vivere e affermarsi. Quello che mi rimane, come Ambasciatore e come napoletano non è l’arrivo ma la partenza da Istanbul e quell’ultimo saluto a Santa Sofia, dove non riuscii a frenare l’emozione e la preghiera. Durante il mio accreditamento si succedettero in Italia due Governi di colore diverso. Le istruzioni da Roma rimasero le stesse. Potetti contrapporre alle esitazioni francesi e tedesche, persino in un pubblico comizio con il Presidente Çiller, la volontà italiana di spianare alla Turchia la strada per l’Europa. Alla nostalgia, quindi, si aggiunge il rimpianto per quanto ancora non avvenuto.
In novembre giungerà ad Istanbul una qualificata presenza napoletana per l’annuale festa organizzata dall’associazione culturale ‘Di Meo Vini Ad Arte’ per la presentazione del calendario 2019 e sarà l’occasione per costruire un legame più concreto e saldo tra la città di Napoli e quella di Istanbul che le opportunità della globalizzazione e la passione delle due città per il Mare rendono attuale e necessario.
Michalengelo Pisani Massamormile
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Michalengelo Pisani Massamormile
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