“A Istanbul, il sorprendente Museo dell’Innocenza voluto da Orhan Pamuk, con una densità di emozioni che va
ben oltre il valore degli oggetti. A Napoli, una mostra itinerante – da me concepita – denominata Museo della
Follia, con un allestimento di grande impatto emotivo nella Basilica di Santa Maria Maggiore di Pietrasanta.
Un museo che non c’era e che si sposta, è dentro di noi, nella nostra natura, nei nostri turbamenti, nei nostri
disagi, nelle nostre esaltazioni”. Due idee speciali, due profili del Mediterraneo. Che, idealmente, si confrontano.
E segnano l’ennesimo parallelo tra l’Italia e la Turchia, il Bosforo e il golfo del Tirreno, in attesa del Calendario
Di Meo 2019 e della cerimonia internazionale programmata per sabato 17 novembre al Ciragan Palace di Istanbul.
“Il delicato Museo dell’Innocenza parla di equilibrio, soddisfazione, esperienze, abbandoni, dolori e beatitudini.
Di sogni. Il museo di Pamuk è l’oggettivazione del suo racconto dall’omonimo titolo. Come accade, il collezionismo
nasce dall’amore. Non solo amore, passione, per le cose; ma anche amore per una persona. Oggetti, doni, ricordi.
Kemal ama Fusun, la desidera ma non la può avere. Così raccoglie gli oggetti che la ricordano, qualcosa che avevamo
già letto nelle disperate Poesie della fine del mondo di Antonio Delfini, commoventi per innocenza e ossessione.
Pamuk e Delfini alludono alla stessa cosa: ‘Se non amasti, quali sono gli oggetti che ti son rimasti?’. Per Kemal,
il primo oggetto di affezione fu l’orecchino che Fusun perse la prima volta che fecero l’amore: ‘Il momento più felice
della mia vita’. E per ritrovare e commemorare, nel tempo immobile della memoria, quel momento, Kemal accumula, oggetto
dopo oggetto, con una determinazione che alle anime morte appare follia. Al termine della vita Kemal chiede all’amico
Pamuk di allestire un museo che raccolga le reliquie della sua esistenza. E così Pamuk ha fatto, progettando e realizzando
a Istanbul, nel palazzo dove viveva l’amico, il museo della sua umana esperienza. Anche il Museo della Follia raccoglie gli
oggetti delle vite alienate, gli strumenti di costrizione e di pena e le opere d’arte che rappresentano la fuga nel sogno,
la liberazione dal dolore, la bellezza della creazione. Dunque un’idea nuova di museo, un museo della vita. Delle vite.
Degli amori e delle umane sofferenze. Due musei diversi, ma indici di un mondo mutato, di un diverso rapporto con la storia
che non è più storia di eroi, ma storia di individui. Problematici, difficili, universali, che, pur non essendo condottieri,
capipopolo, ma scrittori, sono interpreti di un sentire collettivo. Non abbiamo più bisogno di musei che cercano di ricostruire
la storia della società, di una comunità, di una nazione, di uno stato, di un popolo, di un’azienda o di una specie, ci hanno
stufato. Sappiamo tutti che le storie quotidiane dei singoli individui sono più ricche, umane, e gioiose di quelle delle grandi
comunità. È fondamentale che i musei diventino più ‘piccoli’, più personali e meno costosi. Solo così potranno raccontare storie
a misura d’uomo. I grandi musei ci invitano a dimenticare la nostra umanità e a ricordare lo Stato e le sue masse. È per questo
che milioni di persone nel mondo occidentale hanno paura ad andare ai musei. Il futuro dei musei è dentro le nostre case”.
Vittorio Sgarbi
Napoli - Museo della Follia
Istanbul - Museo dell'Innocenza
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Vittorio Sgarbi
Orhan Pamuk
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