Essere Ambasciatore di Polonia in Italia, al giorno d’oggi, è semplicemente un colpo di fortuna. Sembra banale affermare che diventare
l’ambasciatore in Italia possa bastare per essere felici. Ma c’è tutta una serie di argomenti a favore della tesi che si tratti di una
circostanza davvero speciale. Cerco di illustrarli brevemente.
Le relazioni storiche tra la Polonia e l’Italia risalgono ai primi anni della formazione dello stato polacco ed in particolare al periodo
in cui il Regno di Polonia fu riconosciuto dalla Sede di Pietro. Tuttavia all’inizio, probabilmente esse non furono particolarmente intense,
anche se già nel medioevo gli studenti polacchi venivano a studiare a Padova e a Bologna e i missionari italiani raggiungevano i territori polacchi.
Tutto subisce una decisa accelerazione nell’epoca rinascimentale, quando le influenze italiane raggiungono il loro apice e avranno un forte
impatto, fino ad allora senza precedenti, sulla cultura, letteratura, architettura, musica e sul sistema educativo polacco.
Nella nostra memoria storica un ruolo di primordine svolge la principessa italiana Bona Sforza che convoglia a nozze con il
re Sigismondo il Vecchio. Il suo temperamento e la sua corte italiana sono motore di grandi cambiamenti del nostro stile di vita,
dello sviluppo di edilizia e persino diventano l’ispirazione di novità linguistiche, basti pensare alla parola “wloszczyzna”, e cioè
“l'italianità” che significa “le verdure”, o ai nomi italiani “polonizzati” di singole verdure. Nel Cinquecento e nel Seicento praticamente
i più noti rappresentanti del mondo intellettuale polacco, da Copernico a Kochanowski, hanno alle loro spalle gli studi compiuti
in Italia. Oggi basta andare in Polonia per capire in che maniera straordinaria gli architetti italiani abbiano influenzato l’aspetto delle
nostre città. Praticamente in ogni grande città polacca gli edifici di maggior importanza furono progettati da architetti italiani o comunque
dagli imitatori dello stile italiano. Questo “sovradosaggio” dell’italianità e la sua influenza sulla cultura e sulla letteratura polacca
porterà addirittura alla contestazione da parte di alcuni intellettuali polacchi del cosiddetto “maccaronismo”, cioè l’influenza troppo marcata
della lingua italiana soprattutto sulla lingua e sulla letteratura polacca.
Quando nel Settecento e nell’Ottocento, come avviene in altri paesi europei, la cultura polacca si sottrae all’influenza italiana per passare
a quella francese, la Polonia e l’Italia vengono accomunate da ideali che riguardano altre sfere della vita: la politica e la lotta per la libertà.
A Reggio Emilia nel 1797 nacque non solo la bandiera italiana, ma anche l’inno nazionale polacco. Composto proprio nel 1797 a Reggio Emilia
il canto dei legionari polacchi che formarono i propri reparti in Italia per combattere per gli ideali repubblicani per poi raggiungere e
liberare la propria patria, nel suo ritornello ripete: “Avanti in marcia, Dabrowski, dalla terra italiana alla Polonia sotto la tua guida
ci uniremo alla nazione”. Nel 1927 il canto divenne ufficialmente l’inno della nazione.
D’altra parte il Canto degli Italiani di Goffredo Mameli, composto nel 1847, che ricorda “il sangue d’Italia e il sangue Polacco” versato
dal comune nemico delle nostre nazioni, nel 1946 viene ufficialmente riconosciuto come l’inno nazionale italiano ed è un’illustrazione dei
legami molto particolari che si sono instaurati tra i patrioti polacchi e italiani di quell’epoca.
Francesco Nullo, bergamasco, nel 1863 a capo di un gruppo di commilitoni della spedizione dei Mille, prende parte all’insurrezione polacca
che doveva liberare la Polonia dalla dominazione russa. Nullo perde la vita, l’insurrezione fallisce, ma l’italiano guadagna in Polonia la
fama di eroe.
Il XX secolo ha posto più di un ostacolo sulla via dello sviluppo delle relazioni bilaterali tra la Polonia e l’Italia, anche se già nel 1919
l’Italia unita e la Polonia appena rinata allacciano i rapporti diplomatici.
Purtroppo nel ‘39 ci ritroviamo sui fronti opposti. Nel dopoguerra la Polonia fa parte del blocco comunista mentre l’Italia ha la fortuna
di sperimentare la democrazia. Tutto cambia dopo la caduta del muro di Berlino. Di nuovo entrambi i paesi diventano più vicini. Su iniziativa
italiana nasce la Pentagonale (organizzazione alla quale aderisce anche la Polonia e che oggi porta il nome di Iniziativa Centroeuropea).
Più tardi ci ritroviamo a lavorare fianco a fianco nella NATO e nell’UE. Ma soltanto nel corso degli ultimi anni l’interesse dell’Italia verso
la Polonia è cresciuto in maniera rilevante, sia nella sfera politica che in quella economica.
Si svolgono vertici intergovernativi, gli investimenti italiani in Polonia si piazzano ai primi posti tra investimenti stranieri e la gran
parte delle maggiori aziende italiane si sono ben ambientate in Polonia usufruendo della mano d’opera qualificata, della professionalità
dei nostri ingegneri, del vasto mercato interno. Il volume degli scambi commerciali tra la Polonia e l’Italia supera i 15 miliardi di Euro,
ma va sottolineato che le esportazioni italiane in Polonia prevalgono sulle importazioni. Tuttavia anche le aziende polacche si cimentano
con maggior determinazione sul mercato italiano e i prodotti alimentari polacchi trovano sempre maggior presa sul consumatore italiano.
Fioriscono gli scambi culturali. Vorrei solo ricordare che quest’anno in Polonia verranno esposte le opere di Catelan e di Guercino.
L’anno scorso a Poznan ha avuto luogo la grande mostra di capolavori dei maestri veneti provenienti dalla collezione dell’Accademia di
Carrara di Bergamo.
In Italia l’arte contemporanea polacca e la produzione cinematografica polacca sono molto apprezzate. Solo l’anno scorso oltre 30 opere
letterarie polacche sono state tradotte in italiano. I corsi di lingua e letteratura polacca tenuti presso ben 13 atenei italiani godono
di notevole popolarità tra gli studenti italiani. E se infine ci si aggiunge che per quanto riguarda le principali questioni in agenda
internazionale la Polonia e l’Italia assumono posizioni concordanti, ditemi se si possa immaginare un lavoro migliore per un Ambasciatore.
La risposta è decisamente NO. Dico, purtroppo NO, dal momento che prima o poi dovrò lasciare questo Paese e probabilmente mai avrò l’opportunità
di lavorare (e vivere) con tale piacere e soddisfazione, come nella capitale italiana.
Wojciech Ponikiewski
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Wojciech Ponikiewski
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