Napoli a Vienna
Dopo un bellissimo anno trascorso facendo di continuo la spola tra Mosca e l’Italia, immerso nelle testimonianze
della Grande Guerra Patriottica contro Napoleone e nella confusa e intricata situazione odierna, sentivo il bisogno
di immaginare il prossimo evento in un luogo dallo spirito più lieve, ma non meno affascinante.
L'idea, da subito, è stata Vienna. La favolosa capitale austriaca, con il suo retaggio di grazia e di bellezza,
con la sua speciale miscela di passato glorioso e di dinamismo contemporaneo, mi è sembrata subito l’ambiente più adatto.
Ma quale, tra le tante incarnazioni e successive metamorfosi di Vienna avrei dovuto privilegiare ?
La prima suggestione è stata quella di andare a rievocare gli anni tra la fine dell''800 e gli inizi del XX secolo,
quando alcuni grandi talenti, autentici inventori di modernità, riuscirono a fare della capitale dell’Impero asburgico
un centro propulsore del pensiero e di tutte le arti, dalla musica, alla pittura, all’architettura e addirittura a
inventare nuove discipline, quali la psicoanalisi.
Magari la scelta poteva cadere sull’incontro tra Hugo von Hofmannsthal e Richard Strauss, che con leggerezza inarrivabile
rappresentano nel "Cavaliere della Rosa" l’eleganza del mondo settecentesco e dell'ancien regime al tramonto.
L'età dei Lumi, di Maria Teresa, di Mozart e Da Ponte, che in quell'opera sublime si stempera nella struggente malinconia
di chi avverte che quel tempo non tornerà. Esattamente come la giovinezza della meravigliosa Marescialla.
Bello e affascinante, certo. Ma, seguendo un filo conduttore che caratterizza ogni nostra nuova avventura, occorreva
identificare la tematica di un rapporto tra Vienna e l'Italia e con la Campania in particolare. Un impresa difficile,
troppo difficile.
Poi, appena arrivato a Vienna in cerca di ispirazione, una serie di fortunate coincidenze mi ha portato nel castello
di Rohrau, secolare residenza del nobile casato dei conti Harrach. Qui, tra gli splendidi Solimena e le grandiose tele
di Nicola Maria Rossi, non potevo non ricordarmi della bellissima mostra organizzata più di vent' anni fa a Vienna e
Napoli nel 1993-94 da Nicola Spinosa e Wolfgang Prohaska, magistralmente intitolata"Sulle ali dell'Aquila Imperiale",
che indagava i rapporti artistici tra Napoli e Vienna in età barocca.
Ed eccolo, finalmente, il Settecento sognato, vagheggiato come uno scintillante fantasma, che di colpo diventa reale
e si manifesta sontuoso nei castelli e nei palazzi reali, riportandoci di nuovo a quelle fatate evocazioni create dal
geniale binomio Hofmannsthal e Strauss.
A questo punto rimaneva soltanto da scegliere l’edificio in cui si doveva tenere la festa.
Io - lo devo ammettere- sento ancora una grande nostalgia per l’atmosfera inimitabile che vibrava alla Royal Academy
di Londra, durante la serata di presentazione del Calendario Di Meo di due anni fa.
Si sa che gli austriaci sono notoriamente poco inclini a concedere le loro istituzioni per occasioni private.
L' "operazione Calendario" appariva dunque piuttosto ardua.
Poi, come in un sogno e grazie alla collaborazione di impagabili amici, quasi per sortilegio ci si sono aperte le porte
del più importante dei musei viennesi: il Kunsthistorisches Museum.
Questo museo, per me, è specialmente legato alla lettura di un romanzo piuttosto aspro e disturbante, "Antichi Maestri"
di Thomas Bernhard, uscito nei primi anni '90. Un testo letterario assai duro e profondamente critico, in cui si configura
un attacco frontale a tutto ciò che più abbiamo imparato ad amare dell'Austria e della sua cultura, stigmatizzando la
tendenza a trasformare ogni cosa, qualsiasi elemento di una vasta e composita eredità storica, in una sorta di melassa
nostalgica, falsa e ingannevole.
Eppure nel libro vi è pure un momento di intensa commozione, quando il protagonista, Reger, rievoca la moglie morta,
che adorava accompagnarlo al Kunsthistoriches. Un abbandonarsi al ricordo per giungere all'amara conclusione che "tutti
gli Antichi Maestri che ci siamo scelti come compagni di strada ci abbandonano " e che essi, da soli, " non potranno
sostituire un essere umano".
Un ammonimento che, almeno sotto alcuni aspetti fondamentali, va pienamente condiviso. Forse è vero che anche il più
divorante ed esclusivo amore per l'arte, per la bellezza, per la musica, possono sussistere e avere una portata reale
solo se condivisi, rendendo partecipi di questa passione viscerale altre persone. È davvero a questo fervido progetto
di condivisione e compartecipazione emotiva e culturale, che mi piace pensare di aver dedicato il cammino tracciato in
questi anni e l'intero lavoro della mia associazione.
Generoso di Meo
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